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GARBAGE TIME – 1977, l’anno della “Blazermania”: Portland riscrive la storia!

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11 anni agoon
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Redazione
Anno di grazia 1974. Dopo una stagione disastrosa chiusa con 27 vittorie a fronte di 55 sconfitte, i Portland Trail Balzers si aggiudicano la prima chiamata al draft. La franchigia dell’Oregon, senza alcun tentennamento, sceglie Bill Walton, la grande speranza bianca.
Il rosso californiano, non riesce però ad avere l’impatto sperato sulla lega. Il talento c’è, ed è cristallino ma il fisico non sembra essere robusto e resistente quanto ci si sarebbe aspettati al momento della scelta. In rapida e dolorosa successione Walton si frattura: il naso, un piede, un polso ed una gamba, saltando praticamente il 50% delle sue prime due stagioni da professionista. Portland, ovviamente, non raggiunge i Playoffs in nessuna di queste.
All’inizio della stagione 1976/1977 la dirigenza pensa dunque ad una rivoluzione ed in panchina il povero Lenny Wilkens, individuato come il principale responsabile del disastro rosso-nero-argento viene sostituito dal compianto Jack Ramsay, meglio conosciuto come “Doctor Jack”: l’uomo del destino.
Oltre a Walton, finalmente libero dagli infortuni ed in grado di disputare 65 partite in regular season, Ramsay può contare su di un roster giovane, talentuoso ma soprattutto “nasty”. Al fianco di Bill, in posizione di ala forte, gioca Maurice Lucas, un guerriero di 206 infiammabili centimetri, duro come il marmo e dotato di gomiti usati con grande sapienza nei momenti chiave delle partite. In posizione di playmaker, orchestra la sinfonia, il giovane Lionel Hollins, la cui attitudine a “spiegare” pallacanestro era evidente sin dai primi anni di carriera. Trascinati dal proprio leader (primo nella lega alla voce rimbalzi e stoppate), i Blazers chiudono al terzo posto nella Western Conference alle spalle dei Lakers di Kareem Abdul-Jabbar e dei Nuggets di David Thompson, centrando per la prima volta l’approdo ai Playoffs.
Il primo ostacolo si chiama Denver, squadra che gioca le proprie partite casalinghe a 1600 metri sul livello del mare nelle pianure ad est delle Montagne Rocciose, dove l’ossigeno è più rarefatto e la benzina, soprattutto per gli ospiti, tende a finire quando il cronometro è ben lontano dallo “0”.
La stella è David Thompson detto lo “Skywalker” per la sua incredibile verticalità e capacità di concludere in maniera spettacolare aggredendo il canestro.
A sorpresa i Blazers riescono ad arginare lo straordinario talento offensivo degli uomini di Larry Brown, e ad aggiudicarsi la serie con il risultato finale di 4-2, togliendosi anche la soddisfazione di vincere gara 1 alla McNichols Sports Arena con il punteggio di 100-101, in barba all’altitudine ed alla rarefazione dell’aria.
Al turno successivo, ad attenderli ci sono i Los Angeles Lakers, che con le proprie 53 vittorie stagionali avevano ottenuto il miglior record di tutta la lega. Lo scontro, sulla carta proibitivo, viene reso ancora più intrigante dall’esaltante duello sotto canestro, tra due dei centri più dominanti della storia del College basket: Bill Walton e Kareem Abdul-Jabbar (ai tempi ancora Lew Alcindor), entrambi prodotti di quella UCLA che aveva riscritto i libri dei record nella decade precedente.
A sorpresa, la serie non fu mai realmente in discussione, perché i gialloviola, reduci da una vera e propria “guerra” contro i San Francisco Warriors al turno precedente, erano arrivati completamente stravolti al cospetto di un avversario galvanizzato e spinto dal tifo incontenibile di un intero stato nel quale ormai irrimediabilmente divampava come un fuoco, la “Blazermania”.
La finale NBA, la prima della storia dei Blazers, li vede contrapposti all’ex squadra di coach Ramsay, quella Philadelphia che poteva contare sul più spettacolare giocatore di tutti i tempi: Julius Erving, anche lui detto “Doctor”, questa volta solo “J”.
L’inizio della serie sembra poter confermare i pronostici della vigilia. I Sixers si aggiudicano le prime due partite allo “Spectrum” di Philadelphia, con estrema facilità. Erving tiene fede alla propria fama e sforna giocate incredibili che mandano letteralmente in visibilio i tifosi, compresa una delle schiacciate più famose della sua carriera chiusa proprio sulla testa di Bill Walton in gara 1, mentre Caldwell Jones e Darryl Dawkins, i due lunghi di coach Gene Shue, dominano sotto i tabelloni.
In gara 3, la prima giocata nello stato dell’Oregon, la musica è però completamente differente. I Blazers, ritrovatisi intorno al proprio leader, Bill Walton, disputano una partita unica per ritmo ed intensità, da veri guerrieri, chiudendo il match sul risultato entusiasmante di 129-107.
La quarta partita, solitamente considerata come quella più decisiva, è per certi versi ancora più sorprendente. I tentativi di Erving e McGinnis, improvvisamente incapaci di trovare il fondo della retina con le stesse percentuali delle prime due sfide, s’infrangono uno dopo l’altro contro il muro eretto da Walton e Lucas sotto canestro.
Uscendo dal campo, increduli e sotto choc, Erving e compagni leggono un annichilente 130-98 sui tabelloni luminosi.
Come sosteneva Scott Fitzgerlad: “Esistono solo quattro categorie di persone: gli inseguiti, gli inseguitori, gli occupati e gli stanchi”. Alla palla a due di gara 5, i Sixers sono gli inseguiti, i Blazers gli inseguitori, i Blazers gli occupati, i Sixers quelli stanchi. Con Walton fuori per falli, ed un Lucas sottotono, la rivelazione della partita si chiama Bob Gross, autore di 25 punti, senza i quali forse ora staremmo parlando di un’altra stagione, o forse non ne staremmo parlando affatto: 2-3 e si torna in Oregon.
Ad un passo dalla storia, Portland è una squadra in missione, Walton è un giocatore in missione. Duramente criticato dalla stampa per la pessima prestazione in gara 5, il 32 (numero che verrà poi successivamente ritirato) dei Blazers risponde da campione assoluto, con una prova da 20 punti conditi da 23 (23!) rimbalzi, rendendo vana la sensazionale performance di Erving (40 punti). D’altronde come ricorderà Rudy Tomjanovich qualche anno più tardi: “Don’t ever underestimate the heart of a champion!”.
Il 109-107 finale scatena la gioia incontenibile del Memorial Coliseum, e di tutti i “Blazermaniaci” accorsi al palazzetto, immagini delle quali però non si ha alcuna traccia, perché la CBS, per antichi dissapori con la NBA, interruppe immediatamente la ripresa, tagliando festeggiamenti e cerimonia di premiazione.
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