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Serie A

De Roon rivive la finale: “Non essere in campo è una macchia”

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De Roon rivive la finale

De Roon, in una lunghissima intervista, rivive la finale del 2024 che, causa infortunio, non ha potuto giocare con i suoi compagni.

Il centrocampista dell’Atalanta, Marten De Roon, ha rilasciato una intervista a Cronache di Spogliatoio nella quale ha ripercorso i passi fatti in Italia.

De Roon si racconta

“Le prime settimane sono state difficili, con la lingua e tutto quanto. Ho chiamato mia moglie e le ho detto: “Ma dove sono finito?”. Dopo qualche anno devo dire che da allora è cambiato tutto e spero di poter continuare ancora un paio di anni”.

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Il Presidente dice ancora: “L’obiettivo è la salvezza”.
“E’ giusto partire così, non mettiamo troppa pressione (ride, n.d.r.). E’ la forza della società, che ha sempre i piedi per terra, invece di parlare di Scudetti e Champions. Gli obiettivi sono cambiati, ma loro mantengono i piedi per terra”.

Il Presidente è così tifoso?
“E’ così, lo vedo come un presidente tifoso. E’ stra-felice quando vinciamo, la vive come tifoso ed ex calciatore, invece è un grande imprenditore. Oltre al calcio, l’Atalanta è una cosa importante per Bergamo. Poi suo figlio Luca gestisce tutto, con D’Amico c’è sempre, sempre”. Il Presidente carica la squadra, il figlio gestisce tutto. Dopo essere stato calciatore ha fatto crescere la sua azienda”.

Van Dijk ti ha detto qualcosa quando li avete fermati?
“Prima di tutto ha fatto i complimenti per il pubblico: “Wow, avete un pubblico fantastico”. Ma anche per noi: “Non mi aspettavo questo gioco”. Pensava che ci saremmo abbassati, invece abbiamo fatto il nostro gioco”.

I complimenti più belli?
“In Nazionale, quando mi arrivano giocatori di Barcellona, Liverpool e le altre e mi dicono: ‘Oh, è veramente difficile giocare contro di voi’. E’ la cosa più bella”.

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De Roon rivive la finale

Cosa hai pensato quando hai capito che non avresti giocato la finale?
“Adesso posso parlare con il sorriso. I primi sei mesi non riuscivo proprio. Ho fatto quello scatto per bloccare la palla e ho sentito subito una fitta che non avevo mai sentito nella mia vita. Sapevo fin da subito che non potevo giocare nemmeno una settimana dopo. Ho iniziato a piangere a bordocampo perché era la partita più importante della mia vita e perché è qualcosa che abbiamo proprio conquistato e meritato di giocare. Io credo che – non mi piace dirlo – soprattutto io mi meritavo di giocare quella finale perché il percorso in Europa League, ma in generale con tutta l’Atalanta, ho fatto tanti sacrifici.

Penso ai sacrifici che ho fatto contro il Liverpool, quando la mattina si è infortunato Kolašinac e mi dicono: “Martin giochi braccetto sinistro contro Salah, in bocca al lupo”, e contro Marsiglia dopo dieci minuti si fa male di nuovo Kolašinac e ho giocato ancora difensore. Poi è andato tutto bene, siamo arrivati lì, avevo la sensazione che questa era la mia finale, era la mia ciliegina sulla torta. Abbiamo vinto, quindi la ciliegina c’è sulla torta, però non essendo sulla foto della finale mi sembra sempre ci sia una macchia”.

L’Europa League del 2024

Non la senti al 100% attaccata?
“99%? Sì, manca qualcosa lì. So che ho vinto e che è anche merito mio se abbiamo alzato la coppa, però non aver giocato quella finale mi manca. I primi giorni ho pianto, ho pianto a casa. Mi ricordo che ero con mia moglie a tavola il giorno dopo e abbiamo pianto lì 15-20 minuti, ma proprio di delusione, di tristezza. È l’obbiettivo di un calciatore giocare una finale europea, io l’ho conquistata ma non potevo esserci. Poi come atleta vivi per queste cose perché speri di arrivare in una finale così. L’abbiamo fatto in Coppa Italia tre volte e non siamo mai riusciti a vincerla. Poi arrivi in una finale ancora più importante non la puoi giocare. Ogni tanto penso che forse avrei preferito di poter giocare e perdere.

De Roon rivive la finale

Alla fine non è proprio così, però questo è il tuo primo pensiero. Come mai non posso giocare questa finale? Questa è la mia finale. Invece è così. Poi c’è l’altra faccia della medaglia che in quei giorni, in quella settimana ho ricevuto messaggi, telefonate, chiamate da tutto il mondo sportivo, ma non solo. Soprattutto dalla città Bergamo ne ho ricevuti tantissimi, un affetto e un’appartenenza che sapevo che c’era, ma non avevo mai visto in quella grandezza, in tanti. Uno dei messaggi più belli era da un amico che ho conosciuto qua, un bergamasco che mi ha detto:

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“Da quando sei arrivato ho portato di nuovo i miei figli allo stadio e tu li hai fatto innamorare di nuovo dal calcio, di sudare sempre la maglia, di dare tutto in campo. Non è che la finale cambi qualcosa, ma è più questo che lasci a miei figli, a me e a tutta la gente di Bergamo”. Questo mi ha colpito, sono stati giorni molto emozionanti”.

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