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Cellino: “E’ un incubo, voglio essere processato al più presto. Nainggolan? Non andrà alla Roma”
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12 anni agoon
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Redazione
Intervistato in esclusiva da “Sky Sport 24”, il presidente del Cagliari, Massimo Cellino ha parlato del suo calvario giudiziario, non ancora terminato, ed anche di mercato, soffermandosi in particolare sulla situazione relativa a Radja Nainggolan, cercato soprattutto dalla Roma. Ecco l’intervista integrale al massimo dirigente del club sardo:
Partiamo dal 14 febbraio: l’arresto. Adesso, a mente fredda, cosa pensa se ripensa a quei giorni?
“La mente non si è ancora ‘sfreddata’ purtroppo: è ancora calda la mente, non è fredda. Penso che è un incubo che non finisce più. Sto ancora aspettando di sapere il motivo per il quale è successo tutto questo e fino a quando non l’avrò capito, non avrò un momento di tranquillità”.
Ci racconta come trascorreva le sue giornate?
“Dove? A Buoncammino? In pieno relax perché non c’era il telefonino, non c’erano i giornali, non c’era niente. Si dormiva e si mangiava”.
E la musica?
“Eh! La musica mi è mancata un po’. Anche se gli ultimi giorni mi è stato concesso di portare la chitarra e quindi mi sono allenato un po’”.
Anche davanti agli altri?
“No, però sentivano. Ogni tanto si avvicinavano alla mia cella e potevo confortarli con un po’ di musica”.
Cosa mangiava?
“Di tutto. Si mangiava anche bene sinceramente”.
Qual è il ricordo più brutto che ha di quei giorni?
“Di quei giorni non ho brutti ricordi sinceramente. È peggio agli arresti domiciliari di quando sei in prigione, perché sei in prigione senza esserlo, perciò leva la libertà alle persone: è una cosa che fa male veramente, ti rendi conto di essere veramente impotente di fronte a queste realtà, perciò non sai a chi rivolgerti per avere un po’ di ascolto, un po’ di giustizia diciamo, perciò sono momenti nei quali ti senti molto piccolo”.
Perché non ha accettato di fare gli arresti domiciliari in casa? Farli a casa sua?
“Perché non volevo portare la prigione in casa. Portare la prigione in casa, con mia moglie ed i miei figli, non era una bella cosa, e poi ho vinto tre partite di fila mentre ero in prigione, fossi rimasto altri cinque mesi magari vincevamo lo scudetto”.
La prima parte degli arresti domiciliari in quella comunità, com’è stata?
“Quello era un posto non censito in nessuna cartina, era un cantiere, non era una comunità. Ero solo io, in un cantiere isolato. Quella è stata una roba veramente brutta”.
Sappiamo che si è molto avvicinato alla religione in quel periodo: è vero?
“Sono sempre stato molto vicino alla religione ma in quel periodo ancora di più perché il Signore su non fa nulla a caso e mi sono chiesto perché mi ha fatto fare questo. E le risposte son tante, magari nessuna, magari ho fatto male a qualcuno senza rendermene conto inconsapevolmente ed ho pagato per quello, ma non di certo per quello di cui sono stato accusato”.
E ad Assemini, in casa sua, non poteva parlare con le persone presenti, con la squadra. Com’è stato?
“Andavo a letto alle dieci del mattino e mi svegliavo alle otto di sera perciò non ho visto nessuno praticamente, ero più solo lì che a Buoncammino. È stato molto brutto. È stata una sofferenza veramente atroce, da quella sto disperatamente cercando di uscire lavorando, impegnandomi, ma è molto difficile dimenticare. Non è l’arresto ma la consapevolezza di aver subito qualcosa che è un’ingiustizia”.
E come finirà tutto questo?
“Non lo so, lo chieda a chi mi ha arrestato, io vorrei essere processato quanto prima, essere condannato se ho fatto qualcosa o essere assolto se non ho fatto niente come dico e sostengo. Perciò non vedo l’ora che questo avvenga, altrimenti i giorni non passano più per me”.
Ha fiducia?
“Se non avessi fiducia non sarei qui, penso sia un grosso errore giudiziario e non vedo l’ora che venga fuori. Purtroppo succedono in tutto il mondo queste cose. Stavolta è toccato a me e devo risponderne, perciò voglio risponderne quanto prima. Il dubbio e l’onorabilità del mio nome sono state messe in dubbio. Io ufficialmente sono un ex galeotto pregiudicato, vorrei finire questa situazione che non mi fa vivere. Ho fatto delle scelte, nella mia vita, nella direzione opposta. Sono successi degli errori, puoi fare qualcosa di sbagliato, ma non è il mio caso, perciò è veramente imbarazzante ed un errore giudiziario così voglio che sia chiarito quanto prima perché farebbe male a tutti”.
Che cosa le dicevano i giocatori, i suoi amici. Ha sentito anche l’affetto dei tifosi?
“Si, ho sentito molto l’affetto delle persone ma cerco di scappare. Non mi piace frequentare la gente ed anche qui sono in imbarazzo. Ogni volta che vedo qualcuno mi ricorda la prigione ed io mi vergogno, non sono onorato di quello che è successo perciò, la situazione dubbia ti mette sempre sotto esame e sotto domanda. Questa è una situazione che non finisce più perciò provo profonda vergogna e profondo imbarazzo”.
Allora per sdrammatizzare la posso paragonare a Johnny Cash?
“No grazie. Facciamo della musica diversa”.
Però il concerto in carcere …
“Si vabbè, in carcere c’è molta gente che sicuramente potrebbe stare fuori. Ho conosciuto gente con dei sentimenti molto profondi in carcere. E lì si tocca veramente la realtà: ci si sente tutti uguali come lo siamo realmente, perciò mi ricordo tutti e ho nostalgia di loro”.
Quindi ha stretto dei legami, dei rapporti…
“Non mi ricordo neppure i nomi delle persone che ho conosciuto ma le facce e gli atti di grossa cortesia ed umanità che ho avuto là dentro non li posso più dimenticare”.
Adesso si sente un uomo libero o non ancora?
“Non siamo mai liberi. Se ogni mattina alle otto di mattina può venire un Ufficiale della Guardia Forestale e portarti in prigione e chiedi “per quale motivo: siamo su scherzi a parte” e ti risponde “no”, da quel giorno non mi sono più svegliato: è un incubo costante. Perciò la libertà non esiste, mi sento libero dentro ma sulla libertà fisica io auguro che non succeda ad altri questa cosa perché fa molto male. Gli avvocati mi hanno detto che è più difficile difendere un innocente che un colpevole e questo mi spaventa ancora di più però io son qui, aspetto e spero che abbiano almeno la pietà di farmi sapere in fretta il verdetto finale di questa mia avventura”.
Quindi in conclusione la cosa più dura non è tanto la vita che si fa in carcere o agli arresti domiciliari ma il fatto di trovarvisi?
“Può succedere a tutti purtroppo, in qualsiasi momento. E senti parlare agli avvocati di verità processuali, ma la verità la sa veramente qualcuno? È una brutta storia, una brutta storia”.
Le faccio una domanda diretta: si sente di dire oggi che il Cagliari giocherà la prima giornata in casa al Sant’Elia?
“Sarebbe potuto succedere se ci avessero messo nelle condizioni di riattivare lo Stadio Sant’Elia un mese fa. Purtroppo è stato perso un mese per delle lungaggini burocratiche e cominceremo in ritardo perciò non ce la faremo a giocare la prima, speriamo di giocare la seconda o la terza. Però ho passato un anno devastante con lo stadio, con quello che è successo e sta continuando. Il Cagliari è iscritto a Trieste, ufficialmente giocheremo a Trieste e vedo che molta gente soffre per questo. Per questo sto dedicando molta energia ed attenzione, quella poca che mi è rimasta per lo meno, perché penso che molta gente soffra perché c’è molta gente che ama Cagliari più di quanto non l’ami io perciò non mi sembra giusto abbandonarli. Spero di fare la cosa giusta”.
Quindi non possiamo ancora dire che il Cagliari avrà una casa nella prossima stagione…
“Non lo so. Il Cagliari non ha una casa. L’avevamo fatta a Quartu, bella e in fretta, ed è stata smontata. Adesso smonteremo il Sant’Elia cercando di farlo meglio di com’era prima, metterlo più in sicurezza di com’era prima però è sempre un qualcosa di temporaneo e di, diciamo, non definitivo. È un problema che purtroppo hanno tutte le squadre di calcio, io più di altre, e non c’è la volontà nazionale di risolvere questo problema. Vedo molta trascuratezza. Siamo in crisi, le cose non vanno bene e la gente si piange addosso però tutto sta continuando a crollare. È difficile reagire ad un momento così dove tutti trovano le scuse per non far niente. E questa è la cosa più triste: tutti trovano le scuse per non fare niente”.
Lei ha mantenuto o abbandonato l’idea di fare uno stadio completamente suo?
“Intanto è sbagliato dire ‘stadio mio’. Io sono Presidente di una società di calcio e sono le società di calcio a dovere fare gli stadi. Gli enti pubblici non hanno le finanze per poterlo fare perciò è dovere delle società di calcio farli. È questo che non si vuol capire. Molti miei colleghi non si organizzano, non programmano il futuro e sono cose complesse ed abbastanza lunghe nel tempo, specialmente in Italia. Ed allora è indispensabile: se non c’è uno stadio dove giochi? Il Comune non lo può fare, noi ci siamo messi a farlo e purtroppo, in Italia non c’è il concetto dello stadio privato perché gli stadi sono storicamente del Comune e degli Enti Pubblici, ma loro non hanno i soldi per farlo però, né li fanno loro né li lasciano fare ai privati. È una situazione veramente drammatica. Tra l’altro non riguarda solo il calcio in Italia: ho visto che l’Italia sta passando un momento di paralisi burocratica devastante. La classe politica è veramente in caduta libera e la burocrazia sta prendendo il sopravvento su tutto. La burocrazia vuol dire che nessuno è responsabile, nessuno ha fatto niente e nessuno ne risponde. E questa è una situazione di grosso imbarazzo del Paese purtroppo”.
Ha mai pensato di lasciare il Cagliari?
“Come no! Sì, ma sono ostaggio del Cagliari e non posso lasciarlo. Sono nato a Cagliari, è la mia squadra e non so dove fuggire. Non saprei dove andare. Dicono ‘torna a Miami’, ma io a Miami ci vado: io son nato in Sardegna, a Cagliari. Fuggire da se stessi è impossibile, ma vivo quotidianamente la speranza di vedere un raggio di sole, uno spiraglio di luce che non riesco ancora a vedere”.
Si dice che passerà la Presidenza a sua figlia
“No, non voglio così male a mia figlia. Voglio bene ai miei”.











