Amarcord
26 Febbraio 1984, Platini dà una lezione a Bersellini: non c’è antidoto alle punizioni di Michel!
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3 anni agoon
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RedazioneQuante volte abbiamo provato a imitare le punizioni di Platini, sforzandoci di far salire il pallone oltre la barriera, una barriera di macchine parcheggiate per strada, per poi farlo scendere all’incrocio, non dei pali, ma dei bordi della saracinesca di un garage.
Quante volte abbiamo provato a calciare una punizione a foglia morta e la maledetta, non quella di Pirlo, rimaneva sempre viva! Già, come muore una foglia? Dev’esserselo chiesto, molto prima di noi, Michel Platini, che di foglie nella sua parabola da calciatore ha fatto strage.
Se l’è chiesto e si è anche risposto: una foglia muore accarezzando il pallone con la parte interna del piede, così da imprimergli un particolare effetto rotatorio, simile a quello di un’elica che gira. Girando l’elica permette all’aeroplano di decollare, allo stesso modo, il pallone, girando, si solleva da terra e inizia a salire fino a che non perde quota e comincia a scendere verso la destinazione finale, il sette.
Platini ha sfidato la fisica, si è fatto beffe della gravità, ha mostrato a tutti come muore una foglia. Al posto della foglia, per poco non moriva una signora, sulla Rue Saint-Exupéry di Joeuf, dove un bambino di sette anni, più simile a un nano in pantaloncini, si allena tutti i giorni a calciare le punizioni.
La porta è la saracinesca del garage dei vicini, il portiere Fufi, il cane di sua cugina Stefanina, ma il pallone non sempre finisce dove dovrebbe e così capita che una volta vada a colpire una donna che passava per strada, mandandola all’ospedale. Per continuare ad allenarsi sulle punizioni a foglia morta senza rischiare di avere sulla coscienza una donna morta, il nano in pantaloncini decise di cambiare bersaglio e cominci a mirare al palo del telegrafo di fronte casa.
Si chiamava Michel quel nano in pantaloncini, Michel Platini, e il palo del telegrafo era capace di centrarlo anche 10 volte di seguito. Dal palo del telegrafo di fronte casa all’incrocio dei pali della porta del Comunale di Torino, cambia il bersaglio, identico il risultato.
A dispetto delle chiare origini italiane, novaresi per l’esattezza, Michel è francese a tutto tondo, di italiano non ha nulla, italiano non s’è mai sentito, neanche un po’. Francese Platini lo era anche in campo, francesi erano le sue punizioni, calciate con quella pigra indolenza che velava la compiaciuta arroganza, tutta francese, di chi è già sicuro di far gol.
Il 26 febbraio 1984 Platini di gol ne fa due, il primo di testa, il secondo, neanche a dirlo, su punizione. L’avversario della Juventus, in quel pomeriggio di trentun anni fa, è il Toro di Bersellini, che ha trascorso notti insonni alla ricerca di un antidoto al veleno delle traiettorie di Michel e alla fine lo trova, o meglio, pensa d’averlo trovato. A dieci minuti dal termine della partita, ecco per il tecnico granata l’occasione di scoprire se funziona.
Punizione dal limite per la Juve, calcia Platini. Goool! L’antidoto non ha funzionato, evidentemente non era quello giusto. Ma qual era questo antidoto? Consapevole del fatto che la destinazione finale, il naturale punto d’approdo delle parabole di Platini era il sette dal lato opposto a quello del portiere, Bersellini aveva pensato di proteggerlo, quel sette, piazzando Italo Galbiati a presidiarlo.
Eppure Michel riuscì a far passare il pallone tra la traversa e la pelata di Galbiati. Fortuna? Nient’affatto! Aveva mirato proprio lì Platini, volutamente, per dimostrare a Bersellini e a tutto il mondo che non esisteva antidoto al veleno delle sue traiettorie. Arrogante? No, semplicemente francese. Semplicemente Michel Platini.
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