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Giovani e pressioni: Esposito promette, Yildiz convince!

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giovani Yildiz e Pio Esposito

Il modo in cui i media, italiani in particolare, pompano certi giovani talenti è spesso esagerato, a volte più per necessità narrativa o per mancanza di altri protagonisti che per reale merito sportivo. Questa tendenza non è nuova, ma continua a ripetersi ciclicamente, generando aspettative fuori misura su ragazzi che devono ancora completare il proprio percorso di crescita.

Su Pio Esposito

Pio Esposito è un buon prospetto: fisico, grinta, attaccante d’area vecchio stampo.
Ma da qui a presentarlo come un fenomeno ce ne passa. È un ragazzo del 2005, ancora tutto da formare, sia tecnicamente che tatticamente. Ha ampi margini di miglioramento, ma il rischio è che venga bruciato se gli si attribuiscono troppe aspettative troppo presto.
In un contesto come quello italiano, dove la pressione mediatica è spesso eccessiva, è facile perdere la misura e trasformare un potenziale talento in un caso mediatico prima che lo diventi sul campo.

Su Yildiz

Kenan Yildiz, invece, è già su un altro livello: gioca in Serie A con continuità, ha doti tecniche nettamente superiori, visione di gioco, e anche i gol con la nazionale maggiore turca lo dimostrano.
Il gol di ieri con la Turchia sembrava la copia di quello segnato al Dortmund: controllo, dribbling e finalizzazione in stile Del Piero.
Se Pio Esposito è un fenomeno, allora Yildiz cos’è? Un alieno?
La domanda, volutamente provocatoria, mette in luce la differenza tra un talento già in fase di esplosione e uno ancora in costruzione.

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I giovani caricati da troppe pressioni mediatiche

In Italia c’è una fame cronica di “nuovo Totti”, “nuovo Del Piero”, “nuovo Vieri”…
Ogni giovane italiano che mostra un po’ di talento viene subito celebrato come l’erede di qualcuno. Questo tipo di narrazione porta spesso a esagerazioni dannose, soprattutto per i ragazzi stessi, che magari devono ancora dimostrare qualcosa a livello professionistico.
Yildiz sta facendo vedere cose concrete, ad alto livello. Esposito (come tanti altri) deve ancora arrivarci.
Apprezziamo i giovani, certo, ma con equilibrio.
Servono meno etichette, meno “storytelling” forzato e più tempo per crescere.
Essere promettenti a 18-19-20 anni è solo l’inizio, non la consacrazione.
Lasciamoli lavorare senza esaltarli eccessivamente!

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