Storia di uno Scudetto: la pazienza di Max, l’arroganza di Rudi e… La paura di Antonio

Il racconto di uno Scudetto è una storia come un’altra. Una trama lungo la quale s’intrecciano le vicende di personaggi diversi, ognuno dei quali scrive un pezzo di quella storia.

Un pezzo di storia della Juventus l’ha scritta Antonio Conte, che di Scudetti ne ha vinti tre di fila, cosa che a Torino, sponda bianconera, non si vedeva dagli anni ’30, dai tempi dello squadrone dei cinque titoli consecutivi.

Chi si aspettava che Antonio da Lecce avrebbe continuato a scrivere altre pagine di storia in bianconero, evidentemente non aveva fatto i conti con la paura di un uomo che sa vincere, ma non ha ancora imparato a perdere. Paura di non riuscire più a vincere e quindi di dover perdere.

Per questo se n’è andato, perché con una manica di bolliti, spremuti da tre anni faticosi come trenta, sarebbe stato impossibile, secondo lui, poter vincere ancora. E invece con quella stessa manica di bolliti, c’è chi ci riesce a vincere. Con pazienza, senza fretta.

Non ha avuto fretta Massimiliano Allegri di scacciare il fantasma di Conte e con quello spettro ha continuato a conviverci per sei mesi, fino a quando l’ectoplasma non s’è smaterializzato da solo, traslocando in altra prestigiosa sede (la Nazionale) e lasciando libero Max di prendersi la Signora e di farne la sua sposa in seconde nozze. Da un matrimonio felice ad uno fallito, quello tra Rudi Garcia e la Roma.

Sembrava amore e invece era un calesse. Un calesse che con ogni probabilità riporterà l’ex santone francese a casa sua al termine di un’annata che doveva essere un trionfo e invece si è rivelata un disastro.

Era partito bene Rudi, riedificando pietra su pietra, con umiltà e sacrificio, quella chiesetta da rimettere al centro del villaggio, ma quando sull’umiltà e il sacrificio hanno preso il sopravvento l’arroganza e la presunzione e si è pensato che la chiesetta potesse diventare una cattedrale, il giocattolo s’è rotto e non è più stato possibile rimetterne insieme i pezzi.