Amarcord
Ritorno alle origini, l’epopea delle “Bianche Casacche”
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7 anni agoon
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RedazioneImmaginatevi un volo di mongolfiere nel cielo azzurro-positivista di un giorno, che appartiene ad un secolo fatalmente al tramonto. Il 1900, infatti, è ormai alle porte. Stanno per nascere le prime automobili, la Coca-Cola e l’Aspirina. In Francia c’è profumo di Belle Époque, e mentre i fratelli Lumière proiettano una locomotiva in movimento, il pubblico fugge allarmato, forse verso quella Torre Eiffel che si erge oltre le nuvole della ville Lumiere. Oltreoceano, altri due geniali fratelli, i Wright, compiranno di lì a poco il loro primo debole ma lungimirante volo. Freud scrive “L’interpretazione dei sogni”, un certo Albert Einstein sta ancora meditando certe teorie relative che di fatto spazzeranno via le certezze in corso.
Nell’Italia colonialista di Umberto I e delle Triplice Alleanza, il governo Giolitti muove i primi passi, Puccini presenta la Tosca, mentre il pontefice Leone XIII ha da poco promulgato l’Enciclica “Rerum Novarum”. È un Paese che sul piano industriale sta per decollare definitivamente, soprattutto nel Triangolo Industriale che ha per vertici Milano, Genova e Torino (la piccola Vercelli ne è al centro), in cui spicca una fabbrica contraddistinta da un nome, “FIAT”, che sembra in latino.
È una fase, insomma, di grandi sogni e bisogni, fermenti e convinzioni, tutti rigorosamente caratterizzati da un’immancabile fiducia nelle ”magnifiche sorti e progressive” di leopardiana memoria. E lo Sport non è altro che la ovvia realizzazione di questi ideali positivisti – uniti ad una buona “dose” di libera concorrenza prettamente britannica – in certe pratiche ludico-atletiche che in parte si ispiravano palesemente alle discipline dell’Antica Grecia, o che erano addirittura figlie della cultura del tempo, come il football o il ciclismo.
Le prime Olimpiadi dell’epoca moderna si svolgono infatti ad Atene nel 1896 e suggellano la nascita di quella che è a tutti gli effetti la nuova mania del secolo. E’ proprio in questo complesso ed affascinante scenario che il calcio italiano sta nascendo e – con esso, quasi parallelamente – prende il via la leggenda di un Club dalla Casacca Bianca di una piccola città, fatto di uomini creativi che hanno saputo cogliere le opportunità straordinarie che il destino via via offriva loro, ponendo le basi per la prima vera evoluzione del calcio a livello nazionale.
Lo Sport italiano, infatti, deve tantissimo alla Pro Vercelli, seconda solo al Genoa, come iniziale Mitologia massmediatica di quel periodo. I suoi giocatori, denominati non a caso “Leoni”, erano veri e propri divi, anche se in assenza di radio, tv e facebook.
Di lì a poco, sette incredibili scudetti, un secondo posto discutibilmente vinto dall’Inter, e soprattutto un dirigente, Luigi Bozino, capace quasi da solo, ad imprimere una nuova velocità alla neonata Figc (che nel 1910 aveva appena cambiato la sua denominazione, abbandonando la più anglofona sigla F.I.F. – Federazione Italiana football) avrebbero marchiato a fuoco con il proprio stemma liberty rossocrociato non solo l’Albo d’Oro, ma un modo nuovo di giocare e di intendere il regolamento, unendolo, per primi, sinergicamente, con una vera e propria preparazione psico-fisica, senza poi dimenticare come quella del 1908 sia la prima vera formazione composta tutta e solo da giocatori italiani (e non oriundi inglesi o svizzeri) a conquistare il titolo di Campione d’Italia.
A distanza di più di un secolo, quelle maglie candide, ora tornate a solcare i campi della Serie B, non mancano di affascinare. E sono mille, come le favole, le leggende che ne possono “pro”-manare.
Come un saggio nonno, accanto al caminetto, mai stufo di affascinare chi abbia davvero nel sangue e negli occhi, la passione e il recupero dei veri valori di un mondo che ultimamente sembra si stia disintegrando sempre di più.
Forse, rituffarsi in quei tempi e rifarsi a quelle leggende, a quegli ideali, potrebbe essere un’utile boccata d’aria, come fuga estemporanea dalle incessanti notizie di questa (così come delle ultime) estati che, francamente, hanno più il gusto al chinino di cronaca (anche nera) che di sport vero e proprio. Insomma. E’ proprio da quel “Bianco Belle Epoque”, che forse il nostro calcio può ispirarsi, se non ripartire.
Alex Tacchini
Per gentile concessione Collana Grande Album della Pro Vercelli – GS Editrice
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